La Biennale è dei visitatori
Si è chiusa la Mostra curata da Christine Macel e abbiamo annunciato il curatore della prossima: Ralph Rugoff. Com’è noto l’edizione appena chiusa ha registrato un balzo in avanti nel numero dei visitatori (+23%, più di 615mila). Non siamo qui per inchinarci ai successi numerici né per assuefarci all’idea stessa del «successo». Non sono infatti questi i parametri principali di un’istituzione culturale che deve trovare in altre finalità le ragioni del suo esistere e del suo impegno.Mi pare però opportuno trarre qualche considerazione. Innanzitutto ricordo che La Biennale nulla spende in campagne pubblicitarie (solo qualche striscione addobba i ponti di Venezia) né mai sollecita la partecipazione dei Paesi. Se i Paesi partecipanti aumentano e i visitatori anche, è indice di un’accresciuta fiducia nell’istituzione. È praticamente assente poi ogni connessione con il flusso di turisti che affollano Venezia: chi programma di venire alla Biennale compie una scelta precisa. Altra novità registrata: il numero di visitatori settimanali per ben 9 volte tra ottobre e novembre è stato superiore al numero registrato durante il vernissage.Moltissimi i giovani e i gruppi e un grande lavoro per i giovani laureati che abbiamo dislocato lungo il percorso di Mostra, preparati a illustrare e a rispondere a domande del pubblico, mentre sono state molto frequentate le sessioni dove si è offerta l’occasione di incontrare e dialogare con gli artisti. Possiamo dedurre che l’interesse spontaneo per l’arte contemporanea è aumentato? Che è cresciuta la familiarità con l’arte contemporanea e la volontà di scoprirla direttamente e personalmente? Per lo spirito che ha dominato anche in questi sei mesi sarei proprio tentato di dire di sì. E qui troverei davvero motivo di interesse e di ulteriore impegno.Il principio del dialogo libero e aperto, lo spirito di ricerca che anima ogni Mostra che viene affidata alla responsabilità e dunque al coraggio delle scelte (diverse e motivate) di ciascun curatore, ci apre alla fiducia del visitatore. La Biennale che come è naturale è frequentata nei primi giorni da «addetti ai lavori», collezionisti (con i loro famosi yacht), rappresentanti del mercato dell’arte, nella sua crescita diviene sempre più la Mostra del visitatore interessato. Del visitatore che vuole superare la barriera dei suoni e immagini che quotidianamente lo bombardano, del visitatore pronto a superare la legittima diffidenza che suscita l’arte contemporanea ogniqualvolta si presenta collusa con la finanza e, infine, del visitatore che vuol cercare il proprio personale dialogo con le opere e gli artisti. Sono questi tra i principali obiettivi che muovono il nostro lavoro.A volte ho definito la Biennale come la «macchina del desiderio» che deve rinnovare continuamente il desiderio di conoscenza e di arte, architettura, musica, danza, teatro ecc. in aperta competizione con tutto ciò che ci conduce all’assuefazione e al conformismo. Oggi siamo di fronte a un’altra pericolosa deriva: quella della tendenza alla sovrasemplificazione e alla negazione della complessità, che sono alla base di atteggiamenti e movimenti populistici. Questi si alimentano di un individualismo massimalista che diventa anche identitarismo ossessivo, che lascia poco spazio alle argomentazioni e ci rende facile preda di chi usa la paura e la frustrazione come leve del potere.Al riarmo culturale cui ciascuno dovrebbe attendere in tali circostanze, si aggiunge la necessità di ricreare vere comunità di scambio culturale, non semplicemente solitudini «connesse» nel «popoloso deserto della rete». La Biennale dei visitatori non è dunque un cedimento al populismo. Al contrario è e vuole essere una ricerca dei rimedi e degli antidoti al populismo; vuol contribuire allo sforzo di affermazione dell’individuo non impoverendolo ma «attrezzandolo» di fronte alle complessità con cui è chiamato a confrontarsi. L’arte e gli artisti sono indispensabili a questo fine.E dunque sentiamo nostro scopo storico promuovere l’incontro diretto con l’opera e l’artista e offrire direttamente al visitatore quel complesso percorso che si compie davanti all’opera d’arte che parte dai richiami della memoria, accoglie le provocazioni, gli sbilanciamenti, fino alla scoperta del diverso e vitale. Qui il visitatore deve sentirsi cimentato in una sorta di schermaglia.E così, pur avendo ben presenti i legami tra arte, storia, politica, antropologia ecc. nonché il rapporto dialettico tra libertà dell’arte e costrizioni degli ordinamenti politici ed economici, non abbiamo seguito la via intrapresa da altri nostri simili, e cioè quella di dar vita a celebrazioni di riti di redenzione dalle colpe del passato o del presente usando gli artisti come avanguardia politica. Né abbiamo dato vita per contro a celebrazioni di identità, grati semmai ai padiglioni dei Paesi partecipanti, dalle cui libere scelte viene alla Mostra uno straordinario pluralismo (in barba ai pedanti che continuano nel loro ritornello che la Mostra per padiglioni è forma non più di moda). Né abbiamo dato vita a una rappresentazione museale su artisti approvati ex ante da ecclesiae accademiche. Vorremmo continuare a tenere viva la tensione del visitatore in un luogo dove l’opera è vissuta quasi nel suo nascere di fronte a chi la osserva. L’attribuzione a Ralph Rugoff dell’incarico di curare la prossima Biennale d’Arte è ispirata a questo obiettivo. ...